Cosa si nasconde dietro i trend AI (e perché le aziende dovrebbero preoccuparsi)

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Sembrano solo giochi. Ma non lo sono.

Avrai visto anche tu le famose “action figure AI”: carichi una tua foto e in pochi secondi ti trasformano in un personaggio dei cartoni animati. Un contenuto simpatico, colorato, virale.
Perfetto per TikTok, Instagram, perfino LinkedIn.
Peccato che dietro quel gioco innocente si nasconda molto di più.

Questi trend basati sull’intelligenza artificiale non sono solo intrattenimento: sono test psicologici mascherati, macchine di raccolta dati, strumenti che alimentano algoritmi sempre più intelligenti e profilanti.

Ogni volta che partecipi a un trend come questo, stai regalando:

  • dati biometrici (i tuoi tratti somatici)
  • preferenze estetiche e culturali
  • il tuo comportamento online (cosa clicchi, quanto tempo ci resti, cosa condividi)

Tutto questo, per ottenere in cambio un contenuto che fa sorridere e magari ti fa pure guadagnare qualche like.

L’AI non gioca. Studia.

L’AI non si limita a generare contenuti. Osserva. Impara. Ottimizza.
I social di oggi sono piattaforme in cui l’intelligenza artificiale:

  • testa i tuoi gusti
  • modella il tuo feed
  • decide cosa funziona e cosa no
  • spinge in alto i trend che generano attenzione (positiva o negativa non importa)

Sì, anche i contenuti tossici vengono premiati se tengono le persone incollate allo schermo.

Ecco perché ci ritroviamo a scrollare per ore video tutti uguali e trend impossibili da ignorare.

E le aziende come reagiscono?

Molte imprese ancora si chiedono “che post pubblichiamo oggi?”, mentre là fuori si sta giocando una partita completamente diversa.

La verità è che non basta esserci sui social.
È necessario capirli. Leggerli tra le righe.
E soprattutto: sapere dove stanno andando.

Perché chi non è aggiornato, chi segue i trend senza sapere cosa c’è dietro, rischia grosso.


Ti faccio qualche esempio:

  • Un trend AI può violare la privacy: un trend AI ti chiede di caricare una foto “per gioco”. Ma dietro le quinte quella foto può finire su server all’estero ed essere usata per addestrare altri algoritmi, senza un reale controllo. Un semplice contenuto virale può trasformarsi in una fuga di dati. 
  • Un filtro può trasformarsi in un boomerang reputazionale: se il contenuto genera stereotipi sessisti o razzisti, il tuo brand ci finisce in mezzo. Un esempio? Nel 2020 Mulino Bianco ha lanciato un filtro Instagram per promuovere i Pan di Stelle, ma schiariva automaticamente la pelle degli utenti. Il risultato? Accuse di razzismo, polemiche e filtro ritirato. Anche un contenuto “innocuo” può danneggiare il brand se non si valutano bene gli effetti. 
  • Un algoritmo può mostrare i tuoi post a persone che non ti interessano minimamente se non sai settare i tuoi contenuti in modo strategico.

Serve una guida. Umana.

In questo scenario, avere una persona o un’agenzia che non solo crea contenuti, ma li progetta in ottica strategica, con consapevolezza dei dati, dell’etica e delle tendenze tecnologiche, non è più un plus: è necessario.

Perché oggi i social non li governa più l’engagement.
Li governa l’intelligenza artificiale.

Rossella De Palo – Social Media Manager

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